Differenze di effetto ansiolitico tra i sessi sollevano seri quesiti

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 18 marzo 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

I disturbi depressivi e ansiosi presentano un’elevata comorbidità, sia perché l’attivazione cronica dei sistemi dello stress tipica dei disturbi d’ansia determina spesso un esito depressivo, sia perché vi sono endofenotipi cerebrali predisponenti ad entrambe le categorie nosografiche. Sia gli stati di sofferenza psichica in passato definiti sindromi depressive sia quelli definiti nella stessa epoca nevrosi o psiconevrosi emozionali hanno rivelato alcune alterazioni funzionali simili, in particolare in circuiti neuronici che fanno capo ad amigdala, ippocampo e corteccia prefrontale. Ormai da decenni la ricerca neurobiologica e neurofisiologica su queste alterazioni fornisce nuovi dati, ma col progredire e l’affinarsi degli studi sono emerse sempre maggiori differenze tra i sessi.

Alcuni studi, in passato, sono stati avviati per comprendere particolarità della fisiopatologia depressiva a partire da una diversa risposta ai farmaci antidepressivi nota in clinica psichiatrica: ad onta della convinzione che gli inibitori super-selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)[1] fossero ugualmente efficaci in entrambi i sessi, gli psichiatri avevano rilevato che solo una parte esigua dei pazienti di sesso maschile rispondeva agli SSRI e, dunque, avevano ripreso a prescrivere i vecchi antidepressivi triciclici (Imipramina, Amitriptilina), la cui maggiore efficacia negli uomini si doveva proprio alla loro minore selettività, che comportava inibizione della captazione di catecolamine, ridotte nella depressione maschile molto più che in quella femminile. Ma questo è stato solo l’inizio di studi che hanno rilevato numerose altre differenze.

Recentemente è molto cresciuto l’interesse verso un’applicazione della metodica di stimolazione profonda del cervello, quale potenziale strumento terapeutico per la depressione e i disturbi d’ansia cronici o gravi. La DBS-IL (infralimbic deep brain stimulation) sembra particolarmente efficace nell’ottenere effetti ansiolitici e antidepressivi, ma l’esatto meccanismo non è stato ancora stabilito, né finora si è realmente indagata la presenza di differenze di risposta legate al sesso.

Hanna Vila-Merkle, Ana Cervera-Ferri e altri colleghi hanno indagato gli effetti della DBS-IL su modelli sperimentali di disturbi depressivi e ansiosi allo scopo di dare un contributo alla comprensione delle differenze fra sessi nella neurobiologia di questi disturbi.

 

(Vila-Merkle H. et al., Sex differences in amygdalohippocampal oscillations and neuronal activation in a rodent anxiety model and in response to infralimbic deep brain stimulation. Frontiers in Behavioral Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.3389/fnbeh.2023.1122163, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Neuronal Circuits Laboratory, Department of Human Anatomy and Embryology, Faculty of Medicine, University of Valencia, Valencia (Spagna); Department of Physiology, Health Research Institute INCLIVA, CIBERFES, Faculty of Medicine, University of Valencia, Valencia (Spagna); Study Group for the Anatomical Substrate of Pain and Analgesia (GESADA) Laboratory, Faculty of Medicine, University of Valencia, Valencia (Spagna).

Hanna Vila-Merkle e colleghi hanno registrato, in ratti femmine e maschi, le oscillazioni elettriche dell’attività neuronica lungo l’asse dorsoventrale di ippocampo e amigdala in risposta all’azione di un farmaco generatore di ansia come FG-7142. Dopodiché hanno applicato la DBS-IL (infralimbic deep brain stimulation) per verificarne l’efficacia ansiolitica e, potenzialmente, preventiva della depressione.

Sorprendentemente, i ricercatori hanno rilevato enormi differenze sessuali. Nei ratti femmina il farmaco ansiogenico FG-7142 non determinava la maggior parte degli effetti neurofisiologici indotti nei maschi. Evidenti, rilevanti e marcate differenze fra sessi sono state registrate nelle onde lente, nelle delta, theta e beta, e nella comunicazione tra neuroni dell’amigdala e dell’ippocampo in risposta a FG-7142, con effetti veramente modesti nelle femmine. I ratti femmina facevano registrare una frequenza γ-basale molto più prevalente, mentre nei ratti maschi proprio la frequenza γ-basale era alterata da FG-7142.

Hanna Vila-Merkle e colleghi hanno poi analizzato l’espressione di c-Fos in entrambi i sessi nelle strutture cerebrali mediatrici delle risposte allo stress, nelle seguenti condizioni: 1) dopo somministrazione FG-7142; 2) dopo applicazione del DBS-IL; 3) combinazione di FG-7142 e DBS-IL. Nelle femmine la molecola ansiogenica determinava una ridotta espressione di c-Fos nel nucleo incerto, nell’amigdala, nella rete setto-ippocampale e nelle strutture della corteccia cerebrale. Nel caso della combinazione della molecola generatrice di ansia con la stimolazione cerebrale ansiolitica, il DBS-IL era in grado di annullare tutti gli effetti di FG-7142, naturalmente con un visibile effetto comportamentale di “guarigione” nei maschi e senza grandi evidenze nei ratti femmina.

I risultati di questo studio sollevano dubbi e problemi non irrilevanti circa la ricerca animale sui disturbi d’ansia e depressivi così come si conoscono nella nosografia psichiatrica e nella realtà esistenziale umana. Innanzitutto si deve notare che secondo dati epidemiologici confermati nel corso di decenni l’incidenza dei disturbi d’ansia e da stress è maggiore nelle donne che negli uomini. Questa differenza legata al sesso sembra essere reale e non dovuta solo al maggior numero di diagnosi nel sesso femminile, che ricorre più spesso di quello maschile all’aiuto medico-psichiatrico e al trattamento psicoterapeutico. Uno dei motivi che ha trovato conferma sperimentale consisterebbe nell’effetto controbilanciante i meccanismi dell’ansia da parte del testosterone, che in questo sarebbe più efficace degli estrogeni, al punto che negli anni recenti, riprendendo vecchissimi studi, si è valutata la reintroduzione dell’ormonoterapia androgenica negli uomini affetti da disturbi da stress, ansia e depressione.

Le femmine di ratto sono molto più resistenti allo sviluppo di ansia dei maschi: questo non si sapeva fino ad oggi, e gli studi sui roditori quali modelli per la ricerca sulle basi della neuro-psicopatologia umana sono stati condotti confidando su una equivalenza con il cervello dei primati simile a quella provata per tanti altri aspetti funzionali. In realtà, una revisione attenta dei lavori condotti di recente con campioni di topi e ratti di entrambi i sessi, offriva già l’indicazione delle femmine murine meno soggette alle reazioni considerate equivalenti dell’ansia umana. Perché sono state trascurate queste evidenze?

Una delle risposte – forse la principale – non piacerà a molti ricercatori che sono rimasti sordi all’appello di sperimentare su entrambi i sessi, lanciato da tanti gruppi di ricerca e scuole sperimentali, cui si è aggiunta da anni anche la nostra voce: la massima parte degli studi, come vent’anni fa, quando noi lo facevamo rilevare, è condotta solo su roditori maschi, perché richiedono più semplici condizioni di stabulazione.

Con lo studio di Hanna Vila-Merkle e colleghi la questione viene posta all’attenzione di tutti i neurobiologi. Naturalmente, sarà necessario indagare meglio queste differenze e, soprattutto, cercare di comprenderne le ragioni. Un po’ di tempo fa, Ludovica R. Poggi analizzava le ragioni del grande divario esistente tra le centinaia di potenziali neurofarmaci e psicofarmaci che mostrano un’efficacia assoluta nei roditori e l’esiguo numero di molecole che supera la fase dei trial clinici e viene poi introdotta in terapia: alle tante ragioni possiamo dunque aggiungere le differenze non ancora accertate tra cervello dei roditori e cervello umano, e particolarmente la suscettibilità legata al sesso nei roditori ad alcuni stimoli ansiogeni.

Hanna Vila-Merkle e colleghi concludono la loro discussione sui risultati con questa affermazione: “I nostri risultati aprono urgenti questioni circa le differenze tra sessi nella neurobiologia dell’ansia e della depressione e del suo studio nei modelli animali”. Noi ci chiediamo se sia opportuno proseguire la ricerca sulle basi neurobiologiche di ansia e depressione sui roditori prima di aver risolto questo problema, che mina il valore dei risultati in termini di significatività e trasferibilità alla realtà umana.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-18 marzo 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Fluoxetina (Prozac), Fenoxetina, Paroxetina (Seroxat, Sereupin), Fluvoxamina, Citalopram, Zimelidina, Mazindolo, ecc.